mercoledì 19 dicembre 2012

Natale


Il Natale è come un doberman nascosto dietro una siepe, tu scavalchi tranquillo tranquillo il muro di una giornata qualsiasi e lui è lì che ti ringhia minacciosamente in faccia. Ti coglie all’improvviso, quando arriva arriva e non puoi fare altro che tirare fuori dal ripostiglio l’albero e attaccarci sopra le palle, che dopo un anno di lavoro non vedi l’ora di toglierti quel peso ingombrante di dosso e le attaccheresti ovunque, e perché no su un pino di plastica tutto illuminato da lucine della LIDL e nastrini oro e argento.

Che poi in fondo il periodo natalizio in se non è neanche male. Traffico caotico in giro per le strade, freddo intenso che ti congela mani, piedi e naso appena esci di casa, buonismo ipocrita sventolato impudicamente come un reggiseno durante un concerto di Robbie Williams, strade imbastardite di neve marcia. Però tutti questi effetti collaterali vengono in qualche modo accettati, sopportati con rassegnata condiscendenza perché comunque sai che si avvicina il momento delle meritate vacanze di Natale. Qualche giorno da passare a casa a mangiare, bere e riposare. Sai che ogni tua azione sarà accompagnata da quelle musichette rilassanti da tenere in sottofondo, per esempio quando apparecchi la tavola, o impazzisci davanti ad un puzzle di 5000 pezzi, o fai tutti quei maledetti lavoretti di casa che hai rimandato per tutto l’anno.  Metti sullo stereo qualcosa tipo Let it snow  cantata dalla voce calda di Dean Martin, o  Have yourself a Merry little Christmas, che mi fa sempre immaginare slittini carichi di bambini vocianti che corrono veloci a Central Park ( sono schiavo della filmografia ‘mmericana), oppure un classicissimo : ‘O tiempo se ne va degli immortali Squallor, che con la loro squisita poetica vi trascineranno senza scampo nel clima del Natale come un uragano.

Che bei momenti, che deliziosi attimi di intimità familiare passati sul divano a vedere film intramontabili tipo Il piccolo Lord, Una poltrona per due o Ben Hur, immancabili perle cinematografiche che ci vengono propinate anno dopo anno, puntuali come l’aumento della benzina, soporiferi come una puntata di Porta a Porta.

Ma in mezzo a tutte questi virtuosi passatempi da paese dei balocchi, che ti fanno ringraziare la provvidenza per averti fatto nascere nell’occidente prospero e tecnologico, ci sono, ahimè, anche dei momenti spiacevoli, o per lo meno di difficile digestione.

 Il calvario dei regali di Natale.

 Negozi zeppi di persone sudate e incazzate, paonazze con la pressione a 200 alla ricerca spasmodica del peluche parlante che ha implorato la nipotina, o del gioco ultra mega fantasmagorico chiesto dal figlio prediletto. Genitori arrampicati come ragni su scaffali traboccanti di colorate nefandezze, mogli determinate a vedere la scritta Game Over sulla carta di credito platinum, mariti che spingono carrelli traboccanti con la gioia negli occhi uguale uguale a quella di minatori che spingono i loro carrelli 1000 metri sotto terra. Babbi Natale rubizzi che si aggirano per le strade scampanellando rumorosamente, ubriachi fradici di Amaro Averna.

No, grazie. Io, come disse la buonanima di Scalfaro: “Non ci sto, io dico no”. Già, ma allora che fare ? come risolvere l’annoso problema dei regali ?

Una soluzione, la migliore dal mio punto di vista, è lasciar semplicemente perdere. Non regalare niente a nessuno, far finta di niente, inventarsi un’amnesia temporanea, una psoriasi topica fulminante, un’allergia traumatica verso il pacchetto regalo in sé, un gomito che fa contatto col cotechino colle lenticchie, uno shock emotivo perché quando avevi dieci anni tua cugina te l’ha fatta vedere. Insomma, a me va bene tutto, anche sorbirmi un concerto di Gigi D’Alessio accompagnato da zampognari peruviani in piazza Duomo il 31 dicembre, ma questa cosa dei regali davvero non la reggo.

Non ho fantasia, mi mancano le forze, mi areno davanti agli sterili binomi papà-cravatta e mamma-profumo, moglie-IstruttoreDiTennis, figlia-Iphone 5. No signori, non so voi ma io non ce la posso fare.

 Però, se per voi è diverso, se siete di quella imperscrutabile, coraggiosa razza che gode nel fare e ricevere regali, beh allora…a pensarci bene qualche idea per voi ce l’avrei.

Un maglione a dolce vita per sconfiggere l’amarezza di alcune giornate.

Un set di coperchi per quel diavolo di vostra suocera, alle pentole ci pensa lei.

Dieci spremute di arancia-limone-mandarino-fragola-mirtillo da bere saltando la corda.

Un quadro di una natura ferita. ( regalarlo che è già morta si capisce che è riciclato )

Una mazza da baseball, un crick e una catena per l’automobilista pacato che è in ognuno di noi.

Una bambola gonfiabile bucata, tanta fatica per gonfiarla e poi, sul più bello…

Una piccozza per un piatto di picspaghetti.

Un sommergibile nucleare dell’ex unione sovietica ( so che vengono via a poco ).

Il calendario Maya del 2013. ( esiste esiste, rigorosamente made in China ).

La raccolta delle esternazioni del Cavaliere dal ’94 ad oggi travisate dalla stampa. Opera in 12 volumi di 2000 pagine l’una.

Oppure, un altro regalo che non impegna più di tanto, che al limite lo prendi e lo metti in un angolino dimenticandotene, che tra il caminetto e una sedia che balla vedrai che un’utilità la si trova, uno di quelli che: “qualcosa gli devo pur regalare”. Insomma, che ne pensate di un bel libro ? che poi magari proprio bello non è ma il concetto editoriale resta valido.

Come dite ? Sono partigiano nel mio consiglio ? è vero, mea culpa. Ma non cadrò nella tentazione di farvi un titolo “a caso”, tanto chi mi conosce sa dove andrei a parare, voglio solo portare alla vostra conoscenza alcuni eventi che forse vi aiuteranno a compiere una scelta oculata.

Ripeto, non voglio assolutamente influenzarvi ma sappiate, tra l’altro, che due miei amici che non hanno preso il mio libro pochi giorni dopo uno ha perso il lavoro e l’altro è stato lasciato dalla moglie. Ora vivono insieme, si sono fatti crescere le tette e si fanno chiamare Luisa e Chantal e quello che aveva perso il lavoro ne ha trovato un altro, riceve in casa ed è confuso e felice.

Un altro amico si è tuffato immediatamente in libreria per prenderlo e la settimana dopo ha fatto 6 al super enalotto, vinto un abbonamento per dieci anni a “Tutto uncinetto” e pestato tre cacche in meno di un‘ora.

Ora, non so voi, ma io un pensierino ce lo farei…

Di seguito, per allettarvi ulteriormente, i commenti di alcuni miei appassionati lettori.

“Leggere un romanzo di Davide Gorgi è sempre un’esperienza splendida. Ottima scrittura, personaggi ben caratterizzati. In poche parole : geniale”

(Pinocchio)
 

“Farfalle a Milano è più letale delle mie lame rotanti”

(Goldrake)
 

“Mi è piaciuto o non mi è piaciuto…questo è il problema”.

(Amleto)
 

“Juventus è squadra di dopati, nel giro tutti sanno, da sempre…qual era domanda ? Farfalle dove ??”

(Zdenek Zeman)
 

“Il libro in sé non è un granché, ma la copertina lo innalza di almeno due spanne”

(Olivier “Psycho” Catenacci, autore della copertina)
 

“Mi ricordo i suoi temi da brivido, zeppi di errori. Noto che il tempo non lo ha migliorato”

(la maestra delle elementari)
 

“Leggere Farfalle a Milano porta a scontrarti col tuo lato oscuro”

(Luke Skywalker)
 

“Quando ho guardato di sotto ho pensato – col cazzo che salto – poi da giù mi hanno minacciato di farmi leggere Farfalle a Milano. Beh, com’è finita lo avete visto anche voi”.

(Felix Baumgartner)
 

“Che tenerezza il ragazzo della storia, vien voglia di preparagli una torta di mele”

(Nonna Papera)
 

“I frequesnti richiami musicali, affogati brillantemente nella storia, già da soli valgono il prezzo del romanzo, devo dire però che quando l’ho letto ero in pieno trip…”

(Jim Morrison)
 

“Farfalle a Milano è un romanzo supercalifragilisticaspiralidoso…”

(Mary Poppins)

 
“Gli ho detto che non potevo leggerlo e allora mi ha fatto comprare l’audio libro…e mi ha fregato!”

(Stevie Wonder)

 
“Non è bello e con le donne non ci sa fare. Di corse di cavalli non capisce niente ma, cazzo, come scrive…”

(C. Bukowski)

"Gli ho chiesto dove potevo andare a prenderlo, mi ha risposto "è lui che verrà a prendere te".
(John Rambo )
 
Per finire, Buon Natale a tutti voi e ai vostri cari, passate delle serene vacanze e un buon fine anno.
Adesso purtroppo devo lasciarvi, devo correre a sistemare i feltrini sotto il tavolino della sala, sistemare gli scaffali della cantina, controllare la pressione degli pneumatici della bici di Gaia, mettermi la crema antirughe, comprare un puzzle…
Ah, dimenticavo, l'anno che verrà vedrà la luce del mio terzo romanzo.
Il mio editore mi ha da poco comunicato che prevede di pubblicare un mio manoscritto dal titolo :
Adam Clayton, un gatto, un topo e l'elefante.
La data per l'uscita non è ancora stata fissata, vi farò sapere.

baci e abbracci
Davide

lunedì 10 dicembre 2012

I Miei Corti - Buon Appetito


Buon Appetito

 

“Veleno per topi”.

L’uomo si guarda attorno con fare smarrito, lascia cadere il cucchiaino metallico, che atterra sul pavimento dalle mattonelle sbeccate e traballanti come un pensiero peccaminoso, con un rumore sordo. Doveva aspettarselo, è stato forse troppo ingenuo ad entrare in quella casa disarmato, confidando che l'inarrestabile fluire dei granelli di sabbia della clessidra della vita avessero cancellato il dolore o almeno sbiadito i contorni del rancore.

L’appartamento è angusto, la sala cucina è arredata con semplicità, mobili vecchi e consunti ma tenuti in ordine e puliti, la carta alle pareti è in parte macchiata di umidità vicino agli angoli, un vaso con delle gerbere rosse sul comò e delle tendine rosa e gialle alla finestra colorano l’ambiente rendendolo accogliente nella sua onesta umiltà.

“Perché ?”.

 Chiede in un soffio, anche se in fondo conosce già la risposta. Afferra una sedia di paglia, la scosta lentamente dal tavolo di legno consumato e si siede lasciandosi cadere pesantemente. Si stringe nella giacca verde, si toglie il cappello a tesa stretta e lo appoggia sulla tavola, di fianco al piattino contenente la fetta di dolce appena intaccata.

“E perché no?”.

 La voce della donna è dura come la salita delle Ande in bicicletta, il suo sguardo è una lama che affonda nell’anima dell’uomo di fronte a lei. Gli anni passati hanno segnato il volto e il fisico di quella che un tempo, si intuisce, era una bellissima creatura, nata per vivere una vita serena, in una bella casa, con una famiglia felice. Una vita da favola di cui si sapeva già il finale: “ E vissero per sempre felici e contenti”. La favola che ogni bambino sogna per se. Solo che la favola si è rivelata essere un terribile incubo e ha vissuto una vita tutt' altro che felice e contenta ma straziante, sola in uno stabile decrepito nella periferia malata di Buenos Aires.

“Non avevo scelta, ho fatto solo quello che dovevo”.

 “Si ha sempre una scelta e la tua è stata quella sbagliata”.

 I due hanno parlato quasi sommessamente, come se parlassero del clima impazzito o di ricette di cucina, una sorta di distacco, denso come una giornata di nebbia nelle pampas in autunno, accompagna lo scandire delle parole, ancora fluttuanti nell’aria satura dell’odore di pollo arrosto poggiato di fianco alla cucina a gas.
 
 “Sono venuto per dirti che un dottore mi ha annunciato che sto per morire”.

 “Tutti dobbiamo morire. Io sono morta quarant’anni fa, sei tu che mi hai uccisa”.

 Un passerotto atterra sul davanzale, osserva distrattamente la scena all’interno della stanza, un attimo dopo vola via senza voltarsi, evidentemente ciò che ha visto non ha destato il suo interesse, o forse ha percepito qualcosa che, una volta svelato, avrebbe appesantito troppo le sue tenere ali.

 “Mi dispiace. Sono passato solo per chiedere scusa. Forse non sarei dovuto venire”.

 “Forse no”.

 I due rimangono in silenzio, si osservano muti, poi la donna riprende.

 “Sai, devo farti i  complimenti per il tempismo, ci hai messo solo quarant’anni per chiedere scusa, ma ormai è tardi, del resto sarebbe stato tardi anche quarant’anni fa”.

 Dal rubinetto gocce rumorose cadono nel lavandino di ceramica come macigni di una slavina, dall’orologio appeso alla parete di fianco alla stufa, il ticchettio costante si espande come una marea ineluttabile, dal piano di sopra rumori di corse, di botte, di piatti rotti e di insulti. Grida disperate si piegano alla ferocia di aride lacrime.

 “In quel tempo, in un'altra vita, mi sembrava giusto, dovevo proteggere il mio Paese, credevo di poter essere utile, di poter essere ricordato come un eroe, volevo che fosse così”.

 “E lo sei. Per il tuo Paese sei un eroe, hai raggiunto il tuo obiettivo, sei stato bravo e tenace. Hai tirato dritto per la tua strada spazzando via tutto ciò che si frapponeva tra te e la tua meta. Hai rubato, tradito, ucciso, mentito, ingannato, tutto per la vostra causa, per la tua causa.

 Purtroppo tra te e il tuo fanatismo si sono messe in mezzo persone, uomini, donne, bambini, un fastidioso  impiccio da travolgere e spazzare via. Come li chiamate voi? effetti collaterali, mi sembra”.

 L’uomo si china lentamente e afferra da terra il cucchiaino, poi lo appoggia delicatamente sul tavolo. Fuori, i rumori del traffico e dei clacson impazziti, sono un sottofondo dodecafonico che non ha la pretesa di penetrare i pensieri muti dei due. È ancora la donna che parla, la sua voce prende consistenza col passare dei minuti, i suoi occhi scuri gettano lampi di una vitalità tenuta a lungo sotto una cenere grigia come la sua esistenza.

 “Lo hai fatto anche con lui. Lo hai fatto portare via di notte, indossava ancora il suo pigiama a righe verdi e azzurre, quello che gli regalammo per un suo compleanno, ricordi ? Era terrorizzato. Stiamo parlando di tuo padre. Te lo ricordi? L’uomo che ti portava a vedere le partite di pallone, che ti teneva sulle spalle, che ti ha insegnato ad andare in bicicletta ?

 Lei se n’è andata poco dopo, non ha retto allo strazio, semplicemente una mattina non si è svegliata, credo sia morta sognandolo, il volto appoggiato sul cuscino aveva il sorriso beato di chi ha trovato quello che stava cercando”.

 “Ho saputo tutto, subito. Mi dispiace, vorrei poter tornare indietro ma non si può, è un peso che mi porto dentro da tutta la vita. Sono venuto a salutarti prima di lasciare questo schifo di mondo”.

 Il vecchio generale fa per alzarsi, ma improvvisamente il peso della costellazione di stelle sulle spalline e sul petto della divisa militare d’ordinanza sono un fardello che gli piega le ginocchia, è costretto ad uno sforzo ulteriore per riuscire a rimanere eretto, fiero e maestoso come un tempo, quando sfilava alla parate del regime, quando era osannato come un dio”.

 L’uomo si avvia verso la porta verde alla quale è appesa una piccola ghirlanda di fiori di plastica multicolori, apre la porta, si volta verso la donna rimasta seduta sulla sua sedia di paglia, con lo sguardo perso nel vuoto e le mani sul grembo.

 “Mi hai davvero avvelenato con il dolce preferito della mamma?”.

 “E come avrei potuto, sei pur sempre mio fratello”.