mercoledì 23 maggio 2012

I Miei Corti - La Famiglia

La famiglia

Mi sveglio che è ancora buio, con una sensazione di terrore ed un dolore improvviso alle costole, il terrore è per quello che mi aspetta tra poche ore, il dolore alle costole è la gomitata che mi ha dato mia moglie per svegliarmi. Mi domando come si sia passati dai baci dei primi anni di matrimonio alle gomitate e da quando. Non me lo ricordo neanche più. Fatto sta che continuo a fare questo sogno che mi tormenta ormai da mesi, ogni volta la stessa storia.
 Lei mi appare così, dolce, bella, intelligente, giovane, io ? beh, io sono io. Ah l’amore….mi alzo più velocemente che posso, un po’ piegato sul fianco dolorante, infilo le pantofole, mi do una sonora scrollata ai gioielli di famiglia e mi incammino verso il bagno. Lei, che nello stato di famiglia risulta sotto la voce moglie, è già corsa in cucina, ha tanto da fare oggi, l’aria intorno è elettrica, pregna di vita e di morte, sarà la tensione per il nefasto pranzo della domenica ormai prossimo, ma anche il cotechino sul fuoco da tre giorni gioca un suo ruolo. Le lenticchie invece, dopo aver passato a bagno una intera settimana, hanno deciso di andare a passare le feste in montagna, lasciandoci un biglietto di saluti. Il bagno è occupato da Luca, presente nello stato di famiglia sotto la voce figlio, quando esce, con una faccia che non riconosco, biascica un “Pà, devo andare in montagna con Franco e Matteo, mi servono 200 euro, e poi la mia giacca a vento….è vecchia pà, devo comprarne una nuova, mi servono dei soldi”. Da quanti anni con mio figlio si è creato questo rapporto? Mi sembra me quando vado in banca a chiedere prestiti, praticamente non è mio figlio, è un mio cliente. Sto ancora riflettendo su quanto sia gratificante  avere un figlio maschio, che suoni dodecafonici da brivido mi scuotono fino alle budella improvvisamente, è lui che ha acceso la sua play station, già perso nel suo mondo virtuale. Quando arrivo in cucina per la colazione scopro che questa mattina non la farò, mia moglie mi ha fatto capire, con un sottile giro di parole che sarebbe stato meglio per me evitare. “Dove credi di andare tu? vuoi fare colazione con quello che mangeremo tra poco ? spicciati a prepararti che mi devi aiutare, guarda come sei conciato, anzi prima vai a preparare la tavola così ci portiamo avanti”. Ottimo, vado a preparare la tavola, stendo la tovaglia verde, metto i piatti bianchi, i bicchieri di vetro trasp...”ma cosa stai facendooooo??”. Un grido a diecimila decibel fa tremare i vetri delle finestre, fa cadere tutte le foglie del ficus beniamino, esplodere tre bicchieri di cristallo e spaventare la nonna appesa nel suo bel ritratto in corridoio.
 E’ mia moglie, l’altra metà della mela. “Togli tutto quello che hai messo, ma ti sembra che per il pranzo di Natale mettiamo quella brutta tovaglia e i piatti di tutti i giorni?
 Devi mettere quella nuova, quella rossa e il servizio quello bello”.
 Rifaccio tutto daccapo traendo forza dal mio compassato mutismo Zen. Mentre sto piazzando i tovaglioli come mi ha insegnato la mia dolce metà, mi passa di fianco Marta, nello stato di famiglia risulta essere mia figlia.
 “Ciao papi, ti ha detto la mamma che per capodanno non ci sono? Vado in settimana bianca con le amiche”.
E se ne va, sculettando come una Lolita, solo un po’ più perversa, verso il bagno. No, non lo sapevo, come sempre quando si tratta di mia figlia, si mette d’accordo con la madre e poi mi fanno sapere cosa hanno deciso nel momento in cui firmo l’assegno che paga le sue spesette. A ciascuno il suo ruolo. Dopo essermi rasato e lavato mi vesto con quello che mia moglie mi ha disposto ordinatamente sul letto, che se fosse per me mi metterei la tuta, che si sta così comodi; anche vestito e ripulito non sono un granché.
 “Dai non perdere tempo a rimirarti nello specchio che lo impressioni e si incrina.  Devi andare in cantina a prendere l’acqua, l’abbiamo finita”. E certo, perché sporcarsi le mani è roba mia no? Sfilo le dita bagnate dalla presa di corrente del bagno e vado. Poco dopo iniziano gli arrivi, mia suocera e mio suocero, agghindati come ricchi alberi di Natale, solo un po’ troppo kitsch. A lui, appena messo piede in casa, scappa un rutto alcolico che fulmina all’istante due lampadine e la ventola della cappa, è già mezzo sbronzo, come lo capisco, con la moglie che si ritrova, lei invece mi ha già attaccato, con quella vocina che metterebbe la pelle d’oca ad Hannibal Lecter.
 “Non ti decidi mai ad attaccare le mensole nella cameretta dei ragazzi, e poi in sala c’è poca luce, perché non cambi quello schifo di lampadario? Sarà anche moderno ma non fa per niente luce”. Quando arrivano anche i miei genitori sono in cucina, esausto come l’olio motore di un camion dopo trecentomila chilometri, me ne sto con la canna del gas in bocca ancora un po’ indeciso sul da farsi; dalla porta a vetri si affaccia il volto sorridente di mia madre.
 “Ciao caro, cosa stai facendo ? che aria stanca che hai ? stai bene?”.
 Mio padre.
 “Tu lavori troppo figlio mio, dovresti goderti di più la famiglia”.
Ma se è la famiglia che mi fa invecchiare di una settimana ogni cinque minuti. Mi alzo da lì, un bacio in fronte alla mamma, una pacca sulla spalla al papà, usciamo dalla cucina che sa di fritto peggio di una kebab turco e andiamo in sala. Vedo mio suocero che, andando verso il bagno barcollando, dà una sonora manata sul culo alla moglie che lo manda a quel paese con un Carlomavavanguloemettettitilemanineltuoculo, e penso, che bello vedere quanto sono ancora innamorati dopo tanti anni. E che dire di mia madre, che un secondo dopo che mio padre si è acceso una sigaretta, di quelle mortali senza filtro, lo rimbrotta con un fumafumachemuoriemilibero; già, l’amore è davvero una cosa meravigliosa. A tavola, finalmente tutti insieme come la bella famigliola felice della casa nella prateria, ma senza prateria. Ci passiamo le lasagne e il risotto con la salsiccia, l’arrosto e il cotechino, le patate e l’insalata russa. Loro chiacchierano di non so cosa, mio suocero credo stia per avere un infarto, è paonazzo in volto e ogni tanto intona una canzone degli alpini alzando il calice di vino, i miei figli parlano tra loro, usano parole in codice, non capisco niente di quello che si dicono, mia madre ogni tanto mi guarda e scuote la testa con aria rassegnata, mio padre riflette sui misteri della vita, tipo, perché lo chiamano sacco a pelo se all’interno ha le piume d’oca? Io mi sento a mio agio come una pianta grassa in Alaska. Mi alzo, vado in balcone e mi metto in piedi sul parapetto, barcollo in un equilibrio precario come il contratto di uno stagista, guardo di sotto e sento un senso di libertà invadermi come un’onda, ripenso al mio sogno, a quanto sarebbe bello tornare indietro, essere di nuovo giovane. Sposarsi con una donna splendida ed esserne perdutamente innamorato. Poi una voce mi distoglie dal nirvana nel quale mi ero immerso.
 “Si può sapere cosa stai facendo, la mamma vuole rivedere le vecchie foto della comunione di Luca, sono in uno scatolone cima all’armadio, valle a prendere, e scendi da lì, non fare lo scemo”.
 Scendo da lì; rientro in casa, mi metto le scarpe e indosso il cappotto, nel momento in cui sto aprendo la porta di casa mia moglie mi blocca.
 “Dove stai andando adesso, ma cos’hai oggi sei impazzito ?!”.
 “Vado a prendere le sigarette, torno subito”.
 Fra una settimana, forse, si ricorderanno che non ho mai fumato in vita mia.

1 commento:

  1. Attuale :-)
    Mi preoccupa la sensazione di "Deja Vu" (rapporto coi figli a parte, ancora troppo piccoli per deludere).
    Dovessero trasformarsi in quel modo anche loro, penso che "diventerei fumatore" anch'io.
    A.

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