giovedì 14 giugno 2012

I Miei Corti - Per un giorno

Per un giorno.

La stanza è spoglia e umida. Nel centro, un tavolino a tre piedi e una sedia di formica rossa che ha visto tempi migliori. Un tappeto consumato sotto la finestra, aperta. L’uomo sta guardando fuori, non sembra dare molta importanza a quello che avviene dieci piani sotto di lui, per strada. Ora è nella sua “torre” di mattoni rossi, perfettamente a suo agio, solitario come un passero. Lo sguardo stanco, assorto in pensieri lontani. Freddi e dolorosi come una lama di ghiaccio. Indossa una vecchia camicia di flanella a scacchi rossi e dei pantaloni di velluto scuro consumati sulle ginocchia. Gli occhiali dalla pesante montatura hanno una lente sbeccata, i capelli, o quello che rimane, giacciono malamente appiccicati sulla testa ovale. L’età è indefinita, potrebbe essere un vecchio trentenne come un giovane sessantenne. L'età è un bene sul quale nessuno può effettuare sconti.
 La vita fa schifo, è tutta sbagliata. Quanto dura la felicità? Pochi anni, i primi, i più lontani, quelli che svaniscono in fretta come un deodorante nei cessi di una stazione. Quelli che neanche ti godi perché non ti rendi neppure conto di essere vivo. E se per caso lo dovessi sapere non ti frega niente del domani, perché il domani è lontano. Quegli anni sei sicuro che non finiranno mai. Poi ti svegli e un giorno scopri che c’è solo una sequenza di giornate sempre uguali, fino alla morte. Ogni giorno hai un giorno in meno di vita, ogni giorno ti avvicini all’ultimo, prima o poi la roulette fermerà la sua corsa, la pallina prenderà il suo posto e sentirai qualcuno chiamare il tuo numero, nient’altro.
 Fuori i rumori stanno salendo di tono, grida di gioia, qualche applauso, clacson di auto e sirene, palloncini colorati e una musica allegra in sottofondo.
 Chi si ricorderà di me quando non ci sarò più, chi ? e per quanto tempo? Come si raggiunge l’immortalità? Non ho la voce di Elvis, non ho il genio né  la mano di Dalì, non eccello in nessuno sport, non sarei in grado di scoprire nessuna cura, nessun rimedio miracoloso per salvare  l’umanità, niente. Sono niente. L'umanità è niente.
 Si avvicina al tavolino, afferra l’oggetto appoggiato sulla tovaglietta di plastica verde e lentamente si riavvia verso la finestra, la musica di prima adesso è più chiara, sale distintamente fino alla finestra aperta, è quella di una banda che ora è esattamente dall’altra parte della strada, di fronte a lui. I gesti sono dell’uomo sono precisi, studiati, pesanti e definitivi come pietra.
  Inizi col fare fatica a muoverti, le cose che facevi da giovane, anche le più scontate, ti costano fatica, ma non ti puoi lamentare, con la testa ci sei ancora. Sai ancora leggere e capire un giornale, sei in grado di allacciarti i bottoni di una camicia. Poi cominci a perdere i colpi anche con il cervello e allora cosa ti rimane? L’attesa…della fine. Un breve ultimo saluto dai pochi conoscenti ancora vivi, un necrologio, piatto come l’elettroencefalogramma del mio capoufficio, su una lapide dozzinale e il signor nessuno è dimenticato. Definitivamente. Per sempre. E invece io voglio essere ricordato, non posso, non voglio morire come sono vissuto, all’ombra di calendari indifferenti, con i fogli strappati mese dopo mese, anno dopo anno, fino a lasciare intravedere ogni volta quelle soffocanti pareti scrostate della mia cucina.
  Qualche poliziotto tiene a bada la gente che si è assiepata vociante ai bordi della strada ormai ricca di folla, gli applausi salgono fino alle orecchie dell’uomo. Infastidendolo. Gli occhi prendono vita, un lampo di calore li attraversa accendendoli, ma è solo un attimo, le tenebre della disperazione tornano al loro posto, velandoli di un’ombra malevola. Con un movimento secco imbraccia l’oggetto pesante che tiene in mano.
 Per sempre, vivrò per sempre. Immortale come la Gioconda, come l'odio.
 Un occhio chiuso, l’altro nel piccolo cannocchiale di precisione, puntato alla testa del presidente,  ben centrata nel cerchio scuro del mirino, il dito sul grilletto del fucile.
 Per sempre.
 CLICK!

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