Buongiorno, mi chiamo Valdo,
Marco Valdo. Ho quarantasei anni e lavoro, diciamo così, per una grande
multinazionale.
In azienda, durante la mia lunga vita
professionale, ho fatto un po’ di tutto, fino a ricoprire quei ruoli che annoverano
la parolina magica Manager prima o dopo altre roboanti oscenità, ma sempre in
rigoroso inglese. Che fa molto più professional.
Ho lavorato il sabato e la domenica quando mi veniva chiesto. Ho saltato le
meritate ferie, quando mi veniva chiesto. Non ho mai contato le ore di
straordinario elargite durante questi anni, del resto ho partecipato a progetti
che avevano troppi momenti nei quali la mia presenza era di estrema necessità
per la loro buona riuscita per potermi tirare indietro.
Ero parte del sistema, e mi
comportavo esattamente come uno dei tanti ingranaggi di una catena che, gioco
forza, deve continuare a girare.
Poi un bel giorno, ma forse
dovrei dire brutto, il progetto nel quale lavoravo si è interrotto
repentinamente, così io e tanti altri come me ci siamo trovati dal lavorare a
cottimo al freddo dell’aria condizionata dell’ufficio alle calde pantofole a
casa: in cassa integrazione, prossimo alla mobilità. Tutto questo è avvenuto nell’arco
di un battito di ciglia. Ma certo, lavoravo a progetto. Anzi no, a dire il vero
il mio è un contratto a tempo indeterminato. E allora come mi è potuta
succedere una cosa simile ?
Nel giro di pochi mesi sono
passato dall’essere un vanto grazie alla mia conclamata “seniority”, all’essere un costo insopportabile. Le mie competenze ad
un tratto non servivano più. O forse sì, ma sicuramente ad altre cifre. Sono
diventato un peso.
In realtà che le cose stessero
cambiando, in peggio ovviamente, l’ho intuito ( lo so non sono proprio un genio
) quando hanno iniziato a parlare di noi come di costi. Mah !
Nel lavoro, ho imparato, devi
essere bravo, competente e disponibile, e costare come un bambino di quelli che
cuciono i palloni da calcio in Bangladesh. Non è proprio facilissimo, in
Italia, costare come un bimbo voglio dire, soprattutto quando hai più di vent’anni
di lavoro sulle spalle e ti hanno sempre chiamato “professionista”.
Ma tant’è. Ora che sono in “cassa”
avrò tanto tempo da dedicare alle mie cose, i miei cosiddetti hobby. Solo che
quando sono in casa sono di intralcio al resto della famiglia, do fastidio alla
moglie, che ha tante cosa da fare ( beata lei ! ), non parliamo dei figli, che
prima erano abituati a vedermi pochi minuti al giorno e ora mi vedono
ciondolare di qua e di là senza avere una sporca ultima meta da conquistare. Se
esco per fare due passi mi viene spontaneo fermarmi a guardare i lavori nelle
strade. Tenendo le mani incrociate dietro la schiena e borbottando parole
incomprensibili, ma che lasciano trasparire il disappunto per come lavorano quegli
uomini in divisa arancione e guanti sozzi. Ci manca solo che mi compri uno di
quei cagnolini in formato nutria col quale passare lunghe ore a chiacchierare animatamente
e sarò esattamente come non mi sarei mai sognato di diventare.
A volte vado a fare la spesa, in
bici, mi soffermo a lungo per cercare l’insalata più verde, la frutta più
succosa. Sto diventando una brava massaia.
È questo il mio futuro ? No,
grazie.
Allora penso che forse dovrei
rimettermi in gioco, del resto sono ancora giovane, mi mancano vent’anni alla
pensione. Sono un ragazzino, lavorativamente parlando chiaro, che se penso ai
dolori alla schiena meglio lasciar perdere.
Dicono che all’estero il lavoro c’è.
E via verso la locomotiva d’Europa, la Germania, un paio d’anni nei pressi del
mare del Nord, qualche rientro a casa nel week end a salutare la moglie e i
figli, per far vedere che sono ancora vivo, e controllare che non abbiano
cambiato la serratura della porta di casa. Scherzo, non lo farebbero mai,
odiano il fabbro che lavora sotto casa. In breve tempo mi renderei conto che
sto perdendo gli anni della loro crescita, quegli anni che faranno di loro gli
uomini e le donne di domani. Ma d’altra parte sto acquisendo reumatismi da
umidità e fegato ingrossato da wurstel e crauti. Uno scambio equo tra dare e
avere.
Azzardo un accostamento
temerario. Gli uomini delle caverne lasciavano moglie, ma forse dovrei dire
compagna, visto che il sacramento del matrimonio ancora non esisteva, e figli
per avventurarsi lontano, a caccia. Stavano via finché non avevano trovato
quello che cercavano per dare sussistenza alla famiglia e poi tornavano. Ecco, io oggi dovrei fare lo stesso. Andare a
caccia. Evviva il progresso. L’evoluzione della specie. Ciao Darwin, come
direbbe Bonolis.
Ma potrei anche non dover andare
troppo lontano. Se mi offrissi per un contratto a progetto a che so, seicento
euro al mese, sono quasi sicuro che un lavoretto lo troverei.
Sarebbe svilente ? beh, se
l’alternativa è conversare con il cane topo con la pancia gonfia di birra…
Oppure potrei rimettermi a
studiare, sono un po’ arrugginito ma non ancora del tutto rincoglionito. Rimane
il fatto che poi qualcuno dovrebbe essere disposto a far lavorare un giovane
vecchio come me.
E se mi mettessi in proprio ? ma
certo, apro un bar…sì, con un piede di porco ! I soldi dove li trovo ? i
finanziamenti li danno ai giovani, io sono giovane ma non così esasperatamente
giovane.
Oh mamma quanti problemi. E io
che pensavo che dopo una vita di lavoro mi sarei potuto godere una vecchiaia
decorosa, ma neanche una mezza età dignitosa riesco a strappare, se vado avanti
così.
Sono Valdo, Marco Valdo, ho quarantasei anni,
vivo in un mondo globalizzato che corre sempre più veloce, ho tante idee , sono
disoccupato e non ho neanche la bicicletta, me l’hanno rubata davanti
all’esselunga.
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