Eccoci.
Qualche giorno fa mi arrivano a casa le prime cinque copie del nuovo romanzo, me
le ha inviate l’editore.
Devo
dire che mentre disfacevo il plico non ho provato la stessa emozione della
prima volta e forse neanche della seconda. Però tenere tra le mani una tua
creatura è sempre un bel momento. Sfogliare velocemente le pagine del tuo
lavoro, osservare la bontà della copertina, soppesarne il peso; insomma vedere
che quello che fino a qualche mese prima erano solo fogli word sul mio PC è
diventato un libro fatto e finito, mi dà una certa soddisfazione.
Anche
perché ve lo devo dire, non sono Ken Follet né Stefano Benni. Non è che tutto
quello che scrivo vede la luce, anzi. Infatti ho un paio di romanzi che molto
probabilmente non verranno mai pubblicati, perciò quando un editore mi dice che
è interessato a pubblicare quello che scrivo per me è già una vittoria.
Certo,
poi viene il bello, ovvero vendere un milione di copie. Ma questo è, ahimè, un
altro discorso. Quel tipo di guerra mi sa che difficilmente mi vedrà vincitore.
Ma forse
volete saperne di più sul romanzo. Come è nato e perché, dove e quando.
Ero in
vacanza con le mie due donne, la grande e la piccola, in Valsassina. Era il
2008, ed eravamo in estate. Un’estate strana, molto piovosa, almeno nel posto
dove stavamo noi. Guardavi in alto e vedevi nel cielo tutte quelle nuvole dalle
forme più diverse. Mi sarebbe piaciuto, come facevo da bambino, riuscire a
vedere nelle nuvole degli animali, delle persone, dei castelli. Insomma più le
guardavo e più mi rendevo conto di quanto col tempo si smarrisca la fantasia, si
cambi. E non sempre in meglio, direi. Allora ho pensato che sarebbe stato bello
essere di nuovo bambino, per poter rivivere le fantastiche avventure che mi
immaginavo da piccolo, poter di nuovo spaziare con l’immaginazione. Ho pensato
anche : “chissà se i ragazzini di oggi vedono nelle nuvole quello che ci vedevo
io ?”.
No,
credo di no. Credo che non abbiano il tempo di guardare il cielo. Sono troppo
presi dalla play station, dalla lezione
di tennis, judo, inglese, chitarra, canto, pentatlon moderno. Che senso ha
guardare in alto se tutto quello di cui hanno bisogno si trova a terra ?
Ecco
perché ho pensato alla storia di un un ragazzino che ha il suo mondo nel cielo.
Un luogo lontano eppure sempre presente sopra di noi. Sono sicuro di aver
“disegnato” un tredicenne fuori dal tempo, oggi uno così sarebbe sicuramente
preso in giro dai coetanei, sarebbe un diverso, ma diverso non vuol dire né
peggiore né migliore. Diverso è diverso, punto.
Quindi troverete in Raimondo tanti aspetti che forse sono più vicini
alla mia generazione che a quella attuale, ma cosa devo dire, a me piaceva
così.
Avevo
voglia di raccontare la storia di un giovane uomo alle prese con la vita, con
tutti i suoi piccoli e grandi problemi, ma visti con gli occhi ingenui di una
volta, non con quelli di coloro che sanno già tutto. O pensano di saperlo.
Quindi
ricapitolando, ho detto dove e quando, un po’ il come, manca il perché ? Boh,
un artista non è tenuto a spiegare proprio tutto tutto, no ? J
Ah, dimenticavo il
titolo. Ho giocato con la famosa canzoncina, con la forma della nuvole e ci ho
aggiunto il pezzo da novanta. Che poi, a dirla tutta, il titolo me lo ha
suggerito LaSimo.