Vi siete mai chiesti, se poteste
rinascere, chi o cosa vorreste essere ?
O quale dote o talento particolare, che
non avete, vi piacerebbe possedere ?Nel mio caso, dal momento che non ho alcuna dote particolare, ho avuto un ampio raggio di scelte tra le quali andare a pescare. Dunque, vediamo.
In questo periodo, che a dire il vero
è iniziato da un po’, ogni canale televisivo che si rispetti ha nel suo
palinsesto almeno un programma dedicato alla cucina, ormai in giro sono tutti
grandi chef. Il fatto è che uomini e donne, combattuti tra il lavoro, i figli da
portare a violino judo canto nuoto inglese, la palestra per rassodare glutei o
addominali, gli ingorghi stradali e intestinali e i mal di testa cronici, la
cucina la vedono solo per sbattere nel microonde il minestrone pronto findus surgelato. E quindi a cosa serve fare vedere tutto
questo spadellare, tutto questo affettare, questo sminuzzare, tutte queste
preparazioni di piatti in stile art decò se poi non hai neanche il tempo di scolare
l’olio della scatoletta di tonno ? Non lo so. Ma lo fanno, eccome se lo fanno.
Ma tutto questo per dire che cosa ? Ah
già, pensavo a cosa mi piacerebbe fare “da grande”, e ho pensato alla cucina. Cucinare
è un’attività che mi piacerebbe saper padroneggiare. Smadonnare sui fornelli,
controllare la sana provenienza degli ingredienti, miscelare la giusta dose di
carboidrati, proteine e grassi per rendere un piatto un sapiente connubio di
bontà e genuinità. Tutto pur di soddisfare il palato, la pancia e pure l’occhio,
che si sa, anche lui vuole la sua parte. Sì, saper cucinare con maestria mi
darebbe grandi soddisfazioni, ma non mi voglio fermare al primo “sogno” nel
cassetto, andiamo avanti.
Un’altra dote che non disdegnerei affatto è la
capacità di imparare, e quindi parlare, diverse lingue. E già mi vedo in giro
per il mondo, sempre a mio agio in qualsiasi contesto, perché saprei sempre
cosa dire e soprattutto saprei come dirlo, che sogno. Non farei più quelle
figure imbarazzanti tipo quando in Francia mi sono visto portare un’ottima piovra
quando io ero convinto di aver ordinato filetto al pepe verde. O quella
discussione infinita con un albergatore spagnolo che mi ha raccontato la storia
della sua vita, in dialetto stretto asturiano, che io ho concluso con un OLE’, perché
ho capito il 30% di quello che mi ha detto. Per non parlare delle lunghe telefonate
con i colleghi tedeschi, il loro inglese metallico faceva a cazzotti con il mio: maccheronico. Già, sapere le lingue mi piacerebbe parecchio.
Se poi ci potessi aggiungere tanti soldi come contorno, penso proprio che
potrei passare la mia vita a girare per il mondo, in pareo e panama nei mari
del sud, in giacca di velluto con le toppe, camicia a scacchi sapientemente aperta
su petto villoso e jeans a New York.
Altro giro.
E questa volta penso che potrei anche
fermarmi qui. In questo momento sto ascoltando “Sultan of Swing” e ho capito
cosa vorrei saper fare più di tutto : suonare la chitarra.
Come si può resistere a un assolo del
genere, come non cadere, insieme al resto della mascella, dinanzi a un’esecuzione
così potente, precisa, coinvolgente, diabolica. Ho sempre pensato che fare il
musicista, meglio se cantante, fosse il mestiere migliore del mondo. Immaginatevi
la scena : San Siro, ottantamila persone venute apposta per voi, per vedervi e sentirvi
cantare. Buio, parte la musica, loro la riconoscono, iniziano a cantare, voi
fate il vostro ingresso sul palcoscenico che ora è illuminato come l’astronave
di incontri ravvicinati del terzo tipo, loro vi vedono e impazziscono lanciando
un urlo selvaggio senza smettere di cantare, e voi state lì, in piedi, a
godervi quella sensazione di immortalità, in silenzio. Poi iniziate a cantare e
la magia iniziale viene addirittura amplificata dalla vostra voce. Se esiste il
paradiso, ecco, io me lo immagino così. Eppure, se sapessi suonare come Mark
Knopfler, potrei anche rinunciare al paradiso, che tra l’altro può attendere, e
suonare solo per me stesso. Chiuso nella mia cameretta spoglia, amplificatore a
basso volume; volerei tra arpeggi, scale, accordi, riff, evoluzioni stilistiche
a folle velocità, fino ad ubriacarmi di note che fuggono dalle corde bollenti
della mia Fender Stratocaster rossa. E sarebbe un finale che neanche
Biancaneve. I due si guardarono per alcuni istanti e si riconobbero, si erano
cercati per tanto tempo ed ora erano uno di fronte all’altra. Lui la prese
delicatamente tra le sue braccia, lei lo lasciò fare, trepidante. Lui la accarezzò
delicatamente, lei ebbe un brivido in fa diesis, poi lui iniziò a suonare e lei
sprigionò dalle sue corde tutto l’amore di cui era capace. E vissero per sempre
felici e cantanti.